Quando (molto spesso) ho l’occasione di risentire i miei corsisti al telefono sono veramente felice di sentire come e quanto i nostri corsi li abbiano aiutati a migliorare le loro prestazioni commerciali.
Un metodo organizzativo, una lettura diversa delle reazioni e delle obiezioni del cliente, uno spunto, una frase, un modello mentale per affrontare l’incontro di vendita sicuramente aiutano il commerciale a fare meglio il proprio lavoro, quindi a vendere un poco di più oppure a vendere con minore impatto di stress emotivo.
Ma da qualche tempo a questa parte ho preso il vizio di fare una domanda in più, oltre ai facili e comprensibili entusiasmi dei nostri discenti; e, come il parroco di paese di tanti anni fa, chiedo loro “quante volte, figliolo?”
No, no, scusate, non voglio sapere loro abitudini personali o meno che mai intime, voglio sapere quante volte utilizzano gli spunti condivisi in aula. Cioè, dati 100 clienti da incontrare, quante volte cerchi di applicare quello che abbiamo condiviso in aula? (e che tra l’altro hai pagato per apprendere?)
Non mi ha stupito verificarlo, poche. Poche volte. Insieme seguiamo un percorso, condividiamo metodi e pratiche per l’attività commerciale, facciamo role-play, giochi d’aula, analisi tecnica di case-history reali e poi, quando andate a casa……. utilizzate questi spunti nel 20% dei casi. Al massimo per il 25%, mai trovato qualcuno che li applichi almeno a metà dei clienti. Inutile dire che applicare quanto visto in aula sempre, a tutti i clienti, non è proprio cosa che si possa sentire.
Allora, la domanda chiave del venditore si è fatta largo anche in me (che in fondo i corsi li devo vendere, quindi sempre venditore sono…) perché?
Non mi è chiaro, paghi soldi buoni per un percorso formativo, decidi di metterti in gioco, investi tempo ed energia per venire in aula, lavoriamo insieme sui metodi e modelli , condividiamo un percorso che modifichi senza stravolgerli i tuoi modi naturali di comunicare e poi, torni a casa e tutto questo lo usi per un cliente sì e cinque no.
Come acquistare un’auto nuova, pagarla, fare le rate, preparare un piano di ammortamento sostenibile, fare una bella assicurazione, fare il pieno, curare la pulizia e la funzionalità del mezzo e poi usare solo le prime tre marce, non tutte. Oppure usare solo i sedili davanti e non quelli dietro. O ancora peggio usarla solo tre giorni al mese, per il resto la teniamo in garage e sappiamo che c’è, senza usarla.
Condividiamo che non ha senso, no?
Ora, senza scomodare la trita e ritrita frase normalmente attribuita a Einstein che “se fai sempre le solite cose devi aspettarti sempre il solito risultato”, voglio continuare a chiedermi perché. E la risposta mi è venuta, per deduzione, dai più cortesi tra i nostri corsisti: alla fine non cerchiamo un cliente, ma cerchiamo IL cliente.
Quindi, invece di abbandonare la nostra zona di confort per fare qualcosa di più funzionale, rientriamo nei canoni standard del venditore, cercando il nostro cliente meta-modello (mi perdonino i competenti di PNL per aver rubato questo termine).
La recita della nostra parte venditore-acquirente è più forte di quanto abbiamo appreso e condiviso in aula. Il cliente-tipo si aspetta che qualcuno rompa le scatole al telefono, e allora giù con le telefonate a freddo.
Il cliente tipo vuole essere circuito da frasi contenenti le parole “consulenza, offerta speciale, solo per lei, solo per questi giorni, occasione irripetibile” e allora avanti con queste parole senza senso comunicativo alcuno. Il cliente vuole e pretende un venditore-piazzista che insista inutilmente, che sia aggressivo e metta il piede nella porta, mi costringa quasi a firmare e poi scappi con il copia-commissioni sottoscritto e quasi senza salutare, quindi via, avanti così.
L’archetipo del cliente è questo, cosa posso farci io? Sì, sì, in aula ho imparato che posso dare un’impronta diversa al mi lavoro, ma tanto il cliente è quello, e vuole confrontarsi con quel venditore lì.
Il cliente sa che nella sua recita a un certo punto c’è la frase “ci penso”, perché io dovrei smontarla gentilmente ed eticamente portandolo verso una decisione definitiva? Il cliente vuole fare resistenza dicendo “costa troppo” oppure vuole introdurre nel colloquio terzi sconosciuti tipo “mio cugino dice che….” oppure“….il mio commercialista non vuole.…” per quale motivo dovrei dargli risposte che non si aspetta? Per quale motivo dovrei riportare la comunicazione nell’ambito della razionalità invece di lasciarlo correre con la mente dove vuole lui?.
Insomma, finito il nostro corso sei contento e pronto a cambiare i tuoi modi, eppure 9 volte su 10 proseguirai nella tua recita del venditore-tipo alla ricerca disperata del cliente-archetipo. Una recita, appunto, dal finale scontato.
Ma perché cambiarlo? In fondo se vado a vedere una rappresentazione di “Romeo e Giulietta” lo so già come va a finire, ma mica lo sto a dire a quelli sul palco. SO benissimo che la morte di Giulietta e finta, ma non urlo a Romeo di non uccidersi che tra poco lei si risveglia. Lascio correre lo spettacolo e me lo godo nelle sue scene pur da noi ultra-conosciute.
Con il cliente è così: non è più una vendita, è una recita nella quale siamo chiamati a recitare una parte: uscire da questa recita (che poi è la nostra zona di confort) è quanto di più difficile ci sia.
Quindi ?
Quindi potrei dirvi non state a fare i corsi di formazione, che non vi servono e buttate via il denaro tanto poi fate sempre le stesse cose, ma mi darei la zappa sui piedi e il mio commercialista non ne sarebbe particolarmente felice.
Allora ?
Allora voglio i vostri contributi: avete cambiato i vostri approcci commerciali? Vi siete migliorati, avete cambiato, o siete ancora dentro la vostra recita?
Fateci sapere, nelle prossime settimane tenterò comunque di proporvi una soluzione.